La comunicazione tradizionale: push.
“Oggi, il 90% degli investimenti di marketing viene speso per i canali che interrompono la gente, al fine di ottenere la loro attenzione.”
Questa dichiarazione del 2013 di Rand Fishkin, definito come uno dei leader degli strumenti informatici e di ottimizzazione delle ricerche su web, metteva in evidenza come la comunicazione delle aziende verso il mercato continui ad essere per una grande maggioranza poco innovativa, e la comunicazione, pubblicitaria nello specifico, viene veicolata attraverso mezzi quali:
- spot televisivi
- pubblicità sui giornali
- spot radio
che nel loro tentativo di guadagnare visibilità interrompono le persone dalla loro attività.
Raramente questo non crea un disturbo all’utente.
A testimonianza di questa situazione si potrebbe portare lo storico fenomeno dello “zapping televisivo”: il cambiare canale durante gli spot televisivi è evidente esser nato proprio come tentativo di dribblare la pubblicità switchando in maniera più o meno frenetica da un canale all’altro.
Neppure l’avvento del digitale e la progressiva e inesorabile introduzione di internet nella vita di tutti è riuscito a sovvertire questa abitudine delle aziende di comunicare in modalità “push”, tanto è vero che la navigazione su web viene troppo spesso disturbata da:
- banner pubblicitari a dir poco invasivi
- finestre pop-up;
- video pubblicitari a tutto schermo.
Anche Youtube, la piattaforma più famosa al mondo sulla quale caricare, condividere e vedere video di qualsiasi genere, è stata “invasa” da video pubblicitari che interrompono frequentemente la visione dei filmati, per di più inibendo la possibilità di fare zapping, ne obbligano la visione almeno per alcuni secondi.

La comunicazione digitale quindi, che non solo non ha limitato la pratica delle tecniche “push” di comunicazione, ma anzi in qualche modo ne ha favorito la diffusione, ideando strumenti come ad esempio l’email marketing.
Al momento della sua introduzione, il poter ricevere newsletter informative da parte di aziende per cui si provava interesse per i relativi servizi e prodotti, aveva fatto sì che l’email e le newsletter riscuotessero un buon successo, con soddisfazione sia da parte delle aziende “comunicatrici” che dei consumatori “riceventi”.
Le newsletter portano indiscutibili vantaggi per le aziende:
- è un sistema più economico di qualsiasi altro strumento di marketing (cartaceo, radiofonico o televisivo);
- è rapido ed istantaneo;
- permette di tracciare il feedback che prima veniva gestito con coupon;
- è personalizzabile.
I vantaggi per gli utenti consumatori:
- restare sempre aggiornati con le proprie aziende preferite;
- sapere in anteprima novità e promozioni.
A fronte però di questi vantaggi, si è assistito ad un dilagare di invi di email, newsletter e DEM più o meno autorizzate dal destinatario >> SPAM
La newsletter perdeva così il suo carattere d’esclusiva e intasando le caselle di posta elettronica di chiunque avesse un indirizzo email, ha dapprima provocato una saturazione dello strumento ed ha in seconda battuta provocato un allontanamento degli utenti da questo sistema, arrivando ad ignorare in modo sistematico questo tipo di comunicazione: cancellando la propria iscrizione alle newsletter o inserendo le stesse nella cartella spam del proprio account di posta elettronica.


Come prima riflessione verrebbe quindi da pensare che l’utilizzo di internet e il web marketing non siano riusciti a portare vera innovazione, e che ci si sia limitati a sfruttare nuovi canali per attuare vecchie strategie comunicative.
Il problema di fondo è che questi strumenti, tradizionali o digital, usati in questo modo hanno la prerogativa di interrompere, sono azioni di “Interruption Marketing” (Termine coniato da Seth Godin nel libro Permission Marketing: turbing strangers into friends, and friends into customers – 1999)
Un messaggio pubblicitario ad esempio, dovrebbe riuscire a far sorgere un bisogno nel consumatore o intercettare un bisogno latente, solo sucessivamente suggerire anche il prodotto per esaudire quel bisogno.
Tuttavia se si propone indistintamente a tutti lo stesso messaggio, (classica comunicazione “push”/”one-to-many”), non sarà possibile riuscire a soddisfare le esigenze e i bisogni in modo personalizzato e raggiungendo in modo mirato il più o meno ristretto mercato obbiettivo, si rischia di compromette il rapporto con i restanti mercato dei consumatori.
Esempio. Una pubblicità televisiva di una nuova automobile verrà vista oltre a chi è in procinto di cambiare auto (quindi probabilmente interessato a ricevere informazioni) anche dai più che invece non hanno intenzione di fare tale acquisto a breve, e per di più verrà vista addirittura da chi non ha la patente e che il problema auto non lo sfiora neppure.
È quindi possibile ed auspicabile che il messaggio arrivi al consumatore proprio nel momento in cui ha quel bisogno da soddisfare, ma nella maggior parte dei casi il messaggio verrà disperso tra consumatori non interessati e la reazione che si otterrà sarà di indifferenza.
Questo processo difensivo avviene anche perché negli anni le interruzioni sono progressivamente aumentate, ogni singola persona subisce messaggi “push” più e più volte durante l’arco della giornata, e questo avviene ogni giorno: ad ogni interruzione aumenta il disagio avvertito, e questo porta le persone a difendersi, ignorando la maggior parte degli input indesiderati ricevuti.
Questo significa che quando si andrà a controllare il ritorno economico che una campagna pubblicitaria deve necessariamente portare, si riscontrerà che il ROI non sarà assolutamente soddisfacente, rendendo la comunicazione inefficiente.
In questo nuovo scenario, la comunicazione tradizionale, con i volantini, le pubblicità su qualsivoglia mezzo per non parlare delle telefonate da call-center, già da tempo ha perso efficacia.
In un contesto così dinamico, il consumatore non è uno spettatore statico delle comunicazioni aziendali.
È invece il consumatore ad essere parte attiva del suo processo informativo ed ha esigenza di informarsi nei momenti e nei modi che desidera.